Intervista a Daniela Rambaldi, vicepresidente della Fondazione Carlo Rambaldi, in occasione della mostra dedicata da Romics alle “creature” di Carlo Rambaldi.
Romics presenta una mostra speciale dedicata ai tre film che valsero il Premio Oscar a suo padre: E.T, Alien e King Kong. Quanto sono importanti momenti come questo per la memoria di suo padre?
Ogni momento che mi viene offerto è importante per divulgare la Fondazione e per far scoprire il Museo, ogni evento è un tassello in più per far conoscere mio padre e il suo lavoro.
A quale delle “creature” nate dalla creatività di suo padre è più legata?
Sicuramente E.T., avevo 12 anni e quindi l’ho visto nascere, l’ho visto progettare e che sia sotto i riflettori dopo 35 anni è una cosa che mi emoziona molto.
Com’è nato E.T.?
Mio padre non aveva indicazioni da Spielberg, gli era stato unicamente detto che doveva essere brutto, ma che avrebbe avuto a che fare con dei bambini, quindi doveva essere un’immagine innocente e doveva trasmettere un’anima nobile.
Una sera eravamo a cena -all’epoca avevamo un gatto himalayano, che è una razza molto particolare- e mio padre mi chiese: “Questi occhi come sono secondo te?”. Di solito i gatti hanno occhi allungati, io risposi “Sono celesti, grandi e rotondi”, erano occhi teneri, diversi da quelli che hanno i gatti solitamente. Da lì mio padre ha tratto la prima idea. Poi secondo le indicazioni, E.T. doveva interagire con tre ragazzi tra cui una bambina piccola e un ragazzino alto. Per questo motivo pensò a un collo allungabile, in modo che potesse parlare e interagire con tutti i ragazzi allo stesso livello. Questo perché quando parli con un bambino e ti chini per “essere alla sua stessa altezza” si crea fiducia. Per la protuberanza sulla fronte mio padre si era invece ispirato a un quadro che aveva dipinto lui stesso “Le donne del delta del Po”.
Com’è nata la collaborazione con Steven Spielberg?
E.T è il secondo film che mio padre ha “salvato” per Spielberg. Dico questo perché fu il secondo film a cui lavorò con il regista americano, il primo fu “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. Spielberg chiamò mio padre a mezzanotte chiedendogli aiuto. Era andato fuori budget, ogni giorno di produzione costava molto. Così mio padre vide la sceneggiatura e chiese sei mesi di tempo, ma Spielberg ne aveva solo tre. Lavorò giorno e notte, perché ogni giorno di ritardo ci sarebbe stata una penale per lui.
Qual è il ruolo della Fondazione Carlo Rambaldi di cui lei è vicepresidente e del Museo?
La Fondazione raccoglie cimeli e preserva il lavoro di mio padre Carlo Rambaldi. Si occupa inoltre di formazione per i futuri professionisti. In progetto c’è anche un’Accademia del cinema. Il Museo esporrà i cimeli dei film in cui ha lavorato mio padre: lo inaugureremo entro fine anno.
C’è un altro aspetto per me molto importante della Fondazione che è quello della beneficenza di cui mi occupo personalmente: organizzo eventi benefici e utilizzo le creature di mio padre per attirare attenzione. Il ricavato degli eventi viene utilizzato per acquistare materiali che vengono devoluti a strutture che ne hanno bisogno. Recentemente, ad esempio, abbiamo acquistato per un ospedale pediatrico in Calabria poltrone per i genitori che accompagnano i figli, materiali per la sala ludica, spalliere per i lettini e molto altro.